Safran Foer, perchè sono vegetariano. Carne e ambiente, stessa medaglia

27 novembre 2009 – Dopo due romanzi di straordinario successo planetario, uno dei quali diventato un film di culto, Jonathan Safran Foer consegna alle stampe un lungo saggio intitolato Eating Animals, nel quale racconta le motivazioni della propria scelta vegetariana, il controverso rapporto con il cibo e l´orrore nei confronti degli allevamenti di animali. Il libro, che uscirà il 25 febbraio per Guanda col titolo Se niente importa. Perché mangiamo gli animali? è una via di mezzo tra un reportage e una riflessione, personalissima, sulla violenza che viene perpetrata ogni giorno nei confronti di mucche, pollame, maiali e pesci, e sull´ignoranza e l´indifferenza che circondano l´argomento.

Safran Foer parte dal ricordo della nonna, che sopravvisse miracolosamente all´Olocausto e che lui considerò per molto tempo come la migliore cuoca di tutti i tempi, per narrare quindi la propria scelta vegetariana vissuta a fasi intermittenti. Sin dalle prime pagine ci sono molti passaggi nei quali è possibile riconoscere immediatamente lo stile dell´autore, a cominciare da un falso dizionario caratterizzato dal sarcasmo, a titoli in pieno stile postmoderno (“Non sono il tipo di persona che si trova nel pieno della notte nella fattoria di uno sconosciuto”) e note per comunicare dati che avvalorano le tesi de libro: «Meno dell´uno per cento degli animali uccisi per la propria carne provengono da allevamenti familiari».
Nella visita notturna citata lo scrittore si avventura in compagnia di un animalista dentro un allevamento di tacchini e ne rimane sconcertato. Non è l´unico momento di sgomento in un libro brillante, nel quale Safran Foer pubblica cinque intere pagine con le sole parole Influent e Speechlessness per spiegare che «nell´arco della propria vita gli americani mangiano in media l´equivalente di 21.000 animali. Un animale per ogni lettera delle ultime cinque pagine». Ma il testo invita a riflettere su qualcosa che trascende il ribrezzo per tanta violenza: «L´impatto degli allevamenti animali sul riscaldamento globale è superiore del 40 per cento rispetto a tutti i trasporti del mondo combinati. È la causa principale del cambiamento del clima».

«Sono dati ufficiali, confermati dalle Nazioni Unite e da tutte le Food Commission», spiega l´autore, con passione.
C´è chi pensa che il grido d´allarme sul riscaldamento globale sia esagerato o perfino una bufala…
«Beh, non sono tra costoro. È uno dei grandi temi di questi anni, nei confronti del quale non possiamo non prestare la massima attenzione. E, voglio ripetere, la difesa dell´ambiente e il rispetto per gli animali sono due facce della stessa medaglia».
Nel capitolo introduttivo lei scrive che vuole “comprendere cosa sia la carne”. Che risposta si è data?
«Che mangiamo perché lo vogliamo. Mangiamo perché la carne è buona. Ha un buon sapore, un buon odore. Non esistono altre spiegazioni oneste e in realtà ne potremmo fare a meno. La carne è anche religione, cultura e memoria. Pensi ad esempio cosa significa per noi americani il barbecue del 4 luglio. Pensi alle ore passate con i genitori e i nonni, a quello che ci hanno raccontato mentre mangiavamo. È vero che la carne ci rende la vita più bella, ma la mia domanda è: possiamo continuare a mangiare senza interrogarci e preoccuparci?».
Uno degli elementi più inquietanti del libro è la constatazione che il macello degli animali va di pari passo con la loro spersonalizzazione: si massacra un´intera massa di animali per non considerarli individualmente.
«C´è chi è arrivato a costruire un´analogia con i genocidi e persino con l´Olocausto. Si tratta di un´analogia che non mi piace, e peraltro non è neanche necessaria per dimostrare quello che ho a cuore. La mia non è neanche una posizione estrema: basta vedere un allevamento per capire di cosa parlo. Ho una posizione pratica, non filosofica».

Lei visita un macello chiamato Paradise Cocker Meats, un luogo civilizzato e gestito da persone sensibili. Il proprietario, di nome Mario, le offre di mangiare carne di maiale. Lei preferisce rispondere accampando una scusa religiosa: «Non è kosher».
«Ho mentito perché non riuscivo proprio a mangiare, ma non volevo offendere Mario, una brava persona che voleva essere gentile. Il suo era un modo di spezzare il pane insieme a me: ho apprezzato sinceramente il gesto, ma continuo a non giustificare la violenza e l´ingiustizia di quello che faceva».
Ma lei ricorda anche che sua nonna, dopo essere sopravvissuta all´Olocausto, rifiuta la prima carne che le viene offerta dicendo invece la verità sul fatto che non fosse kosher.
«Mia nonna non è vegetariana, ma quello che mi voleva insegnare, quando mi ha raccontato quell´episodio, era di fare sempre la cosa giusta. Nel mio caso non c´è un grande rischio a dire “no”. Detto questo, lei avrebbe avuto piacere che la mia scelta fosse stata motivata da questioni religiose».
Lei definisce il libro non come una difesa dell´essere vegetariani ma un invito a essere informati e assumersi responsabilità.
«Sarei ingenuo a pensare di convincere la gente a diventare vegetariani. La mia domanda è “ti interessa o no sapere cosa significa mangiare gli animali”? E c´è un´enorme ipocrisia e ignoranza a riguardo. Come rispetto all´ambiente: preferiamo non pensare. A cominciare dal sottoscritto, gli uomini sono per natura fallibili e fragili».

Lei scrive: «Il cibo non è razionale. È cultura, abitudine e identità. Per alcuni l´irrazionalità conduce a una forma di rassegnazione».
«La nostra vita è caratterizzata dalla ricerca di eccezioni e scappatoie. Non mi riferisco solo al cibo, ma alle grandi scelte culturali e religiose».
Lei teorizza che i cibi «crudeli e distruttivi dovrebbero essere considerati illegali».
«Ne sono convinto. Bisognerebbe prendere disposizioni simili per esempio a quelle prese per preservare i bambini dai giocattoli violenti. Pochi giorni fa ho letto sul New York Times, giornale cauto sulle battaglie ambientaliste, un appello per difendere il tonno come specie a rischio. Ognuno dovrebbe interrogarsi sull´eventualità dell´estinzione di una specie animale».
Gli uomini mangeranno sempre carne?
«Non lo so, ora sembrerebbe proprio di sì. Tuttavia la storia ci ha insegnato che l´umanità è capace di cambiamenti inaspettati e clamorosi. Cento anni fa nessuno avrebbe immaginato che le donne non sarebbero più state considerate cittadine di seconda classe. E solo dieci anni fa nessuno avrebbe scommesso su un presidente nero alla Casa Bianca».
Le manca la carne ?
«Sì, molto. Come tante altre cose. Ci sono istinti che sopprimiamo: vedere una persona che ci piace e pensare di avere una relazione. Se sappiamo che è sbagliato dobbiamo riuscire a non fare niente. Certo che ci costa, ma sopprimere un desiderio a volte può portare alla realizzazione di qualcosa di più grande».

da La Repubblica

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